ARCHI CARATTERISTICI

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CENTRO STORICO: VICOLI E ARCHI CARATTERISTICI


I primi nuclei residenziali si avviarono dirimpetto alle mura del complesso monastico (la cui fondazione è da collocarsi intorno all’anno Mille e quindi nell’arco temporale compreso tra il IX ed il X secolo) per poi propagarsi “a macchia d’olio” in seno all’intera superficie della Terra di Carbone. L’abitato carbonese, infatti, durante i suoi primi secoli di vita costituiva un unico e circoscritto agglomerato urbano, il cui continuo abitativo era limitato alla parte bassa della sua odierna disposizione; con il trascorrere del tempo, però, dato l’incremento della popolazione e la conseguenziale esigenza di nuovi spazi, si presentava, agli inizi dell’età moderna, compatto al centro, ma ramificato nelle varie aree limitrofe rispetto al suo alveo originario. Abitato e popolazione risultavano dislocati anche nelle molteplici aree rurali, ben distanti dal centro, per cimentarsi nelle variegate attività lavorative di carattere agricolo, in qualità di braccianti o mezzadri delle proprietà monastiche.

Come scrisse la filologa britannica, Gertrude Robinson, in visita a Carbone negli anni ‘30 del Novecento, «paesaggi come questi si alterano poco», infatti, dalle fonti cinquecentesche risulta che    l’abitato della Terra di Carbone in età moderna si estendeva a sud-ovest rispetto al complesso monastico, che, invece, era ubicato a sud-est (non è certamente casuale il fatto che sia stato edificato verso oriente). Ulteriore conferma del fatto che fosse proprio questo il nucleo originario della struttura urbana carbonese è data dalla presenza, in tale area, della chiesa madre e della piazza, così da costituire il polo di attrazione e di sviluppo urbano. Sia il centro monastico che il microcosmo civico si sono avviati in relazione alla presenza della sottostante fiumara. Ad est della chiesa si sviluppava il rione denominato ‘mbed a Terra (ai piedi della Terra), con ovvio riferimento a Terra intesa come centro abitato. Quest’area era delimitata a nord-ovest dalla chiesa madre, a nord-est dalla cappella di santa Maria degli Angeli, a sud dalla piazza ‘du Trappit che costituiva il limite urbano, considerato che sia a sud che ad est il territorio campestre degradava verso il fiume. Ad ovest, rispetto alla chiesa madre, il paesaggio rimase extraurbano fino al 1548, anno della fondazione del convento della Santissima Annunziata dell’Ordine dei frati Minori Osservanti, nel rispetto della regola di costruire tali siti sulle vie di accesso ai centri urbani. Anche per Carbone il convento francescano si collocava in un’area strategica, fuori, ma nel contempo prossima, al luogo abitato.

A conferma dell’antichità dell’area vi era l’assetto urbanistico, contraddistinto da viuzze molto serrate (nelle fonti coeve relative ad altri centri basilicatesi si legge strectulae o diverticula) e dall’assenza di significativi slarghi (tale caratterizzazione architettonica è rimasta, ancora oggi, quasi immutata).

L’abitato odierno costituiva, fino agli inizi del Novecento, in gran parte, ambiente extraurbano. A nord di tale nucleo era sita la contrada san Nicola, detta anche ‘n chep a Ter (ambedue i toponimi si sono conservati nel dialetto locale), che derivava il nome dalla omonima cappella (oggi non più presente) di cui si viene a conoscenza, ad esempio, grazie a letture di questo tipo: «Francesco Pavone, bracciale di anni cinquanta, paga alla cappella di S. Nicola once due». La contrada di san Nicola, oggi area abitata, era un luogo campestre, come si desume dagli innumerevoli orti posseduti da molti cittadini in tale sito.

Anche ad ovest il territorio civico si destituiva verso un’intera fascia rurale, dove era presente la contrada denominata, ancora oggi nel gergo popolare, ‘u munzer; a nord-ovest, invece, la località definita ‘al poz, nome ancora oggi utilizzato. A sud-ovest, infine, erano diffusi molteplici appezzamenti avanti e dietro le mura del convento francescano.

Ad est della Terra carbonese si trovava un terreno, anche questo agreste e accentuatamente collinare, ai cui piedi vi era la contrada di san Vito (agiotoponimo ancora in uso), mentre al suo apice sorgeva il monastero. Sulla stessa altezza del monastero era l’ancora odierna località ‘mbed a vad. A nord-est si trovava, infine, il rione di san Sebastiano, costituito da orti ed orticelli, ancora oggi definito in questo modo. A sud era situato il rione denominato ‘mbed a Terra; anche quest’area, alla sua estremità, era ricca di piccoli appezzamenti di terreni come si evidenzia dalla lettura del Catasto di metà Settecento.

La morfologia dell’abitato carbonese, dunque, si trovava ad essere caratterizzata da un significativa e peculiare compresenza di istituti ecclesiastici nell’ambito dei quali si contraddistinguevano due poli monastico-conventuali: quello dei monaci italogreci e quello dei frati francescani Osservanti intitolato all’Annunziata del XVI secolo. A questi si aggiungeva la chiesa parrocchiale e le cappelle urbane site nei rioni san Nicola, san Sebastiano, sant’Anna e san Gerardo. Risulta evidente che, nella strutturazione urbana, le chiese cittadine svolgevano un ruolo di precipua rilevanza per quanto concerneva la suddivisione, l’identificazione, la disposizione dell’abitato a livello spaziale. Altrettanto importante (per le stesse ragioni) era il ruolo, data la peculiare conformazione “a casali” o “a rioni” di Carbone, oltre che della chiesa madre anche del monastero, rappresentando, questi, veri e propri poli di attrazione e di sviluppo urbano.

Tutte queste piccole cappelle non hanno resistito alla forza del tempo e sono andate, via via, perdute, ad eccezione della cappella di sant’Anna (oggi in possesso della famiglia De Nigris) di cui non resta nulla dell’originaria struttura.

Per molti aspetti, le piccole stradine del centro storico, anche grazie ai lavori di recupero successivi al terremoto degli anni Ottanta del secolo scorso, che hanno consentito di ristrutturare molte abitazioni secondo criteri architettonici omogenei privilegiando le facciate con pietra a vista, ricordano un passato rimasto pressoché inalterato e immutato nel tempo. Molti vicoli, infatti, conservano ancora suggestivi archi che collegano abitazioni attaccate l’una all’altra. Vicoletti stretti, dunque, spesso caratterizzati dallo sventolio del bucato steso ad asciugare sui fili, dove, al silenzio di alcuni angoli rimasti ormai disabitati, si alternano piccoli corridoi dove si possono ancora cogliere odori, rumori e colori di un mondo che, qui, ancora, non è del tutto passato.


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