Fuori dall’abitato di Carbone, infatti, sorge, ancora oggi, il cosiddetto eremo dei “Fraticelli” luogo che fu frequentato dagli Eremitae pauperes, “volgarmente” chiamati dalla popolazione “Fraticelli”.
Tale movimento scaturì dalla grande ed eterogenea famiglia francescana, caratterizzandosi per l’osservanza stretta e pedissequamente radicale della regola primigenia sancita dal santo d’Assisi, professavano e vivevano l’assoluta povertà evangelica tanto da essere accusati di eresia dalla Chiesa romana. Infatti, il Pontefice Giovanni XXII (1316-1334) nell’anno 1323 con la bolla cum inter nonnullos condannò il movimento degli Spirituali, che per sfuggire alla cattura e scongiurare la repressione iniziarono a rifugiarsi in luoghi impervi e difficilmente raggiungibili dell’Italia appenninica e meridionale.
Essi si ispiravano alla riforma spirituale di Gioacchino da Fiore: spogliati di ogni bene terreno volevano incarnare la chiesa spirituale profetizzata dallo stesso Gioacchino.
In essi si distinse Angelo Clareno (Chiarino, Cingoli, [provincia di Macerata] 1255 – convento di Santa Maria d’Aspro, Marsicovetere, 1337 [provincia di Potenza]), mistico francescano, rifugiatosi nel territorio basilicatese di Marsicovetere dopo la condanna di Giovanni XXII, per non essersi sottomesso alle decisioni pontificie.
Il 9 marzo 1362, nel corso di un procedimento contro i “Fraticelli” diffusi sul territorio del Regno di Napoli, condotto sotto la presidenza dell’arcivescovo di Napoli, fra Jacopo della Scala dichiarò che questi monaci ribelli alla Curia Romana si erano rifugiati in Basilicata, fermandosi a Santa Maria dell’Aspro nel territorio di Marsico, spingendosi fino alla diocesi di Anglona.
Infatti, lo stesso Angelo Clareno, accolto dal vescovo Pietro di Marsico, riuscì a sfuggire all’Inquisizione, nascondendosi in Basilicata nel 1331.
Anche a Carbone, quindi, essi trovarono un luogo di rifugio, probabilmente per la presenza dei monaci italogreci simpatizzanti del Clareno, che conosceva il mondo orientale non solo perché leggeva e traduceva Basilio, Macario e Giovanni Climaco, ma anche grazie al contatto diretto con gli stessi monaci.
Come i “Fraticelli”, infatti, anche i “Basiliani” del monastero dei santi Elia e Anastasio sollevarono forti critiche contro la ristrutturazione del mondo feudale a cui la famiglia dei Sanseverino rispondeva con la lotta contro le immunità di questi monaci per realizzare una concezione di alta sovranità.
Con la morte del Clareno, infine, le comunità rientrarono nell’ordine uniformandosi.
All’interno dell’eremo carbonese si può ammirare la statua della Madonna restaurata. Essa presentava, prima dei lavori di restauro, una serie di ritocchi con alcune aggiunte: velo e stoffe decorate, pigmenti rosacei forti sul viso, anche del Bambino, per non parlare dell’assenza del piccolo globo nelle mani del Redemptor mundi, e di altri simboli ricorrenti nell’iconografia mariana di ascendenza bizantina, che la qualifica come Madre di Dio e regina basilissa.
Dopo il restauro le caratterizzazioni bizantine si evidenziano con maggior chiarezza; la basilissa è incoronata da due angeli riemersi nello sfondo.
Ne risulta una peculiare e interessante analogia con la statua lignea di Santa Maria del Piano, venerata nel vicino centro di Episcopia, di età medievale e di altre Madonne in pietra venerate in Campania, come Santa Maria dei Martiri a Casaletto Spartano (SA), “indizio” che evidenzia la circolazione di un modello iconografico nell’area lucano-salernitana.