PARTIGIANO ATTIVO TRA IL SETTEMBRE 1943 E IL DICEMBRE 1944
CONDANNATO ALLA PENA CAPITALE DAI FASCISTI
Nel settembre del 1943 si iscrisse al clandestino Partito D’Azione entrando nella formazione partigiana Giustizia e Libertà con lo pseudonimo di battaglia “Silva”. Sarebbe stato facile per lui, di estrazione borghese e con un’ottima posizione professionale, proseguire la sua vita mantenendo i privilegi di uomo benestante e in carriera, chiudendo gli occhi di fronte alle ingiustizie e salvaguardando la tranquillità individuale. Nicola Panevino, però, nutrendo una profonda e radicata coscienza della natura incivile della dittatura, scelse un’altra via che assorbì gli ultimi mesi della sua vita condizionandone la qualità e la durata. Egli, infatti, utilizzò il suo incarico lavorativo per accedere a informazioni segrete sull’organizzazione politico-militare dei repubblichini e sfruttò le proprie mansioni per avvantaggiare i piani e l’azione della resistenza savonese: l’abitazione privata e l’ufficio presso il tribunale divennero veri e propri laboratori dell’antifascismo savonese dove si svolgevano riunioni, si prendevano importanti decisioni strategiche e si coordinavano le operazioni della lotta partigiana locale.
Attivista di prima fila, il magistrato di origini carbonesi ricoprì il ruolo di rappresentante del PdA (Partito d’Azione) dopo la fucilazione del suo predecessore Cristoforo Astengo, per poi divenire il referente principale e il presidente dello stesso CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Savona. In stretto legame con i partigiani piemontesi e con il CLN di Genova aiutò, rifornì e agevolò le formazioni partigiane delle province vicine occupandosi anche, in prima persona, del trasporto di materiale esplosivo.
Sul finire del 1944 il giudice fu tradito e denunciato ai fascisti per la sua attività clandestina. Fu una fatale disattenzione, sicuramente riconducibile alla stanchezza e alla tensione, a rivelarsi letale: di ritorno da una riunione non vide il panno alla finestra steso dalla moglie, concordato segnale di pericolo, entrò nell’appartamento dove lo aspettavano i fascisti e fu arrestato. Il 14 dicembre 1944 venne, prima, condotto al Sant’Agostino di Savona, poi, ad inizio 1945 fu imprigionato a Marassi (nella 3ª sezione del penitenziario) dove subì, oltre a estenuanti interrogatori, terribili torture. Il 15 febbraio fu trasferito temporaneamente nella sede del Comando delle SS, venne messo alle strette dalla testimonianza di una spia, ammise, quindi, il ruolo svolto nel CLN ma si rifiutò di fare i nomi dei propri colleghi e collaboratori.
Dalle testimonianze risulta che in carcere era il prigioniero che più motivava e spronava i propri compagni e allo stesso tempo colui che con maggior fermezza invitava a non fare i nomi dei partigiani ancora in libertà. Il 23 marzo 1945, a poco meno di un mese dalla fine del secondo conflitto mondiale, venne fucilato verso le ore 4:00 del mattino nei pressi del cimitero di Cravasco, nell’entroterra di Genova. L’esecuzione è da collocarsi nell’ambito di una rappresaglia nazista verificatasi a causa di un atto partigiano avvenuto in quell’area poco tempo prima, nel quale nove tedeschi erano rimasti uccisi. Non sussisteva alcuna correlazione diretta tra l’azione partigiana in questione e l’operato di Nicola Panevino, che era da mesi in cella e conseguenzialmente lontano dalla lotta attiva, infatti, i nazisti avevano prelevato, per mera ritorsione, venti detenuti dissidenti dalle carceri di Marassi e li avevano condannati a morte con processi farsa: due di essi, però, riuscirono a scappare durante il trasferimento saltando dalla camionetta e un altro, rimasto solo ferito alla fucilazione, si finse morto e riuscì a scampare ad una sorte che sembrava segnata.
Nicola Panevino lasciò, pagando con la propria vita il desiderio di libertà e il ripudio verso ogni forma di totalitarismo, la giovane moglie, Elena Ciaburri e la figlia neonata, Giovanna.
Le testimonianze epistolari, scritte durante i lunghi mesi di prigionia, lasciateci in eredità dal giurista basilicatese (alcune pubblicate nel volume “Più duri del carcere”), contribuiscono a delineare meglio i tratti caratterizzanti della sua personalità: il grande amore verso la famiglia, una sincera e speranzosa fede in Dio, nel tempo libero ascoltava musica classica, suonava il pianoforte e difficilmente si separava dal suo cane, un pastore tedesco.
Le testimonianze orali, invece, evidenziano anche il forte legame con la comunità di Carbone verso la quale mantenne sempre vivi contatti; durante gli anni vissuti a Napoli la famiglia Panevino era solita ospitare carbonesi, tanto da divenire un vero e proprio punto di riferimento. Inoltre, fino all’avvio del conflitto mondiale Nicola Panevino era solito trascorrere le vacanze estive a Carbone, accompagnato dal fedele pastore tedesco, ospite del parroco monsignor Arena.
La cittadinanza carbonese ha sempre tributato il giusto onore al partigiano Nicola Panevino: il 3 settembre del 1964 il corpo insegnante di Carbone riunito per procedere all’intestazione dell’edificio scolastico, di nuova costruzione, deliberò con voto unanime, indicando proprio il suo nome. Così si legge sulla lapide commemorativa affissa all’ingresso dell’ormai ex complesso scolastico: Al dottor Nicola Panevino, magistrato. Un uomo, un nome, una storia a testimonianza delle future generazioni.
Anche Aliano, paese natio del padre, ha sempre tributato il giusto ricordo a Nicola Panevino, infatti, è stata apposta un’epigrafe in suo onore sulla facciata della dimora di famiglia, concepita da Benedetto Croce in persona:
IN QUESTA CASA NACQUE NICOLA PANEVINO CHE DALLA TOMBA DI CREVASCO, OVE CADDE FUCILATO DAI TEDESCHI, SI ELEVA IMMORTALE NELLA LUCE DELLA STORIA D’ITALIA E ATTESTA COME SU OGNI FORMA DI OPPRESSIONE TRIONFANO ETERNAMENTE GIUSTIZIA E LIBERTA’.
Nel luogo dove avvenne l’esecuzione è stata apposta una lapide in onore del giudice partigiano e delle altre sedici vittime e per la sua instancabile attività antifascista è stato insignito “alla memoria” della medaglia d’argento al valor militare.
Nel 2013 è stata intitolata al compianto concittadino la Sezione F.I.A.P. (Federazione Italiana Associazioni Partigiane) della Val Bormida in provincia di Savona.
Ecco la lettera, tratta dal libro “Più duri del carcere”, che l’eroe Nicola Panevino, nelle ore più tristi della sua prigione, inviò alla figlioletta in occasione del suo primo onomastico.
E’ ben triste che tu debba passare il tuo primo onomastico con il papà gettato in galera; ma ciò non deve rappresentare un cattivo auspicio sia perché questa galera lungi dall’infamarci ci onora davanti agli uomini e ci purifica davanti a Dio. Ringrazio Iddio che tu non abbia i lumi della ragione per sentire i dolori che la tua povera mamma ed io stiamo sopportando.
Quando un giorno quella ragione tu avrai acquistato, Iddio ci avrà concesso la grazia che oggi impetriamo, lo ringrazieremo insieme. Allora io sarò ad accarezzare la tua testina bionda e quella bruna di mamma tua, con animo lieto racconterò i particolari di questi tristissimi giorni. E’ proprio questo il primo voto augurale che io formulo per il tuo onomastico, e penso che non mi si possa accusare di egoismo perché sono certo che la mia liberazione non può rappresentare che tuo bene, non ultimo fattore per la tua felicità in un prossimo futuro.
Altro augurio che tu cresca bella, sana come eri quando ti ho lasciato, oggi tre mesi – E godi di quella benedizione che Dio non nega ai suoi angeli terreni; tu sei fra essi – Abbi, angioletto mio, anche la mia benedizione assai povera di fronte all’altra, ma pure essa sublime, perché resa tale da una amara e scottante lacrima che affiora in questo momento il mio ciglio.